Ristoranti chiusi e stop al turismo: gli alimenti invenduti superano il milione di tonnellate
Secondo la Coldiretti salgono a 1,1 milioni di tonnellate i cibi e i vini invenduti dall’inizio della pandemia per i crollo delle attività di ristorazione.
L'ultimo DPCM per arginare la pandemia ha prolungato per tutto il mese di aprile le misure restrittive previste per le zone arancioni e rosse in tutta Italia. Queste misure ricadono fortemente sul turismo e la ristorazione, a parlare sono i numeri.
Secondo la Coldiretti salgono a 1,1 milioni di tonnellate i cibi e i vini invenduti dall’inizio della pandemia per i crollo delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi che travolge a valanga interi settori dell’agroalimentare Made in Italy. E’ quanto emerge dal primo bilancio della Coldiretti sull’impatto sulla filiera agroalimentare delle chiusure decise dal Consiglio dei Ministri diffuso in occasione del Summit della Coldiretti con il Governo “Recovery ‘Food’, l’Italia riparte dal cibo” organizzato con Filiera Italia a Palazzo Rospigliosi a Roma.
Al danno economico ed occupazionale si aggiunge il rischio di estinzione per oltre 5mila specialità dell’enogastronomia locale, dai formaggi ai salumi fino ai dolci, per la mancanza di sbocchi di mercato per l’assenza di turisti e la chiusura di ristoranti e agriturismi dove le tradizioni dai campi alla tavola sono tramandate da secoli. In pericolo con la pandemia c’è anche il primato nazionale della biodiversità conquistato dall’Italia in Europa, come ha dimostrato il primo salone su “I tesori dei borghi d’Italia” da salvare dalla crisi Covid realizzato dalla Coldiretti. Un patrimonio storico e ambientale ma anche economico che offre opportunità di occupazione a decine di migliaia di famiglie in aree interne spesso senza reali alternative.
Si stima che 330mila tonnellate di carne bovina, 270mila tonnellate di pesce e frutti di mare e circa 220 milioni di bottiglie di vino non siano mai arrivati nell’ultimo anno sulle tavole dei locali costretti ad un logorante stop and go senza la possibilità di programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili. Numeri dietro i quali ci sono decine di migliaia di agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e casari che soffrono insieme ai ristoratori.
Chiusure forzate, limitazioni negli orari di apertura, divieti agli spostamenti, drastico calo delle presenze turistiche e la diffusione capillare dello smart working hanno devastato i bilanci dei servizi di ristorazione e tagliato drammaticamente i livelli occupazionali ma le conseguenze – continua la Coldiretti – si fanno anche sentire direttamente sui fornitori.
La drastica riduzione dell’attività pesa infatti sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione – precisa la Coldiretti – rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato ma ad essere stati più colpiti sono i prodotti di alta gamma dal vino ai salumi fino ai formaggi.
L’aumento della spesa alimentare delle famiglie italiane del 7,4% nel 2020 per il maggior tempo trascorso a casa non ha purtroppo compensato il crack che si è verificato nella ristorazione con il dimezzamento del volume di affari (- 48%) con il risultato che i consumi alimentari degli italiani che nel 2020 scendono al minimo da almeno un decennio con un crack senza precedenti da 30 miliardi, secondo analisi Coldiretti su dati Ismea.
“Anche alla luce dell’avanzare della campagna di vaccinazione, se le condizioni sanitarie lo permetteranno diventa importante consentire le aperture dei locali della ristorazione” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare peraltro che “con l’arrivo del bel tempo le chiusure favoriscono paradossalmente gli assembramenti all’aperto sulle strade, nelle piazze e sul lungomare. Nei locali della ristorazione sono state invece adottate importanti misure di sicurezza, quali – sostiene Prandini – il distanziamento dei posti a sedere facilmente verificabile, il numero strettamente limitato e controllabile di accessi, la registrazione dei nominativi di ogni singolo cliente ammesso”.
Nell’attività di ristorazione sono coinvolti circa 360mila tra bar, mense, ristoranti e agriturismi nella Penisola ma le difficoltà si trasferiscono a cascata sulle 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro.
Si tratta di difendere la prima ricchezza del Paese con la filiera agroalimentare nazionale che vale 538 miliardi pari al 25% del Pil nazionale ma è anche una realtà da primato per qualità, sicurezza e varietà a livello internazionale.
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