Ristorazione: il 'no waste' conquista le cucine ma si arena in tavola

Gli chef adottano pratiche no waste in cucina, ma i clienti faticano a seguirli: imbarazzo, comodità e disinteresse frenano i comportamenti sostenibili.

18 Giu 2025 - 10:40
Ristorazione: il 'no waste' conquista le cucine ma si arena in tavola

RISTORAZIONE - Negli ultimi anni, l’approccio no waste ha conquistato un posto centrale nel dibattito gastronomico, trasformandosi da semplice tendenza a filosofia concreta nelle cucine professionali. Ma, sorprendentemente, sono gli chef più che i consumatori i principali motori di questa rivoluzione silenziosa. 

La spinta verso una ristorazione sostenibile, infatti, non nascerebbe tanto da una richiesta del pubblico quanto da una crescente consapevolezza etica e tecnica degli operatori del settore Horeca.

Sempre più professionisti della ristorazione considerano il no waste non solo come un imperativo ambientale, ma anche come una sfida creativa, dove l’utilizzo di ogni parte dell'ingrediente costringe a pensare fuori dagli schemi e ad elevare la cucina.

In Italia nomi come Massimo Bottura hanno posto da anni la sostenibilità al centro della propria missione, con progetti come “Food for Soul” che ridanno dignità agli scarti alimentari attraverso piatti raffinati e narrativi. 

Ma la sostenibilità in cucina è anche una questione economica. Ridurre gli sprechi, utilizzare ogni parte di un ingrediente con intelligenza e tecnica permette di contenere il food cost senza rinunciare alla qualità o alla sperimentazione. 

Estrazione, essiccazione, gelificazione sono solo alcune delle tecniche impiegate da molti chef per trasformare ciò che normalmente verrebbe scartato in nuovi elementi gustativi e funzionali. È così che i baccelli dei piselli diventano una bevanda aromatica, le bucce di zucca si trasformano in chips croccanti, la buccia del pomodoro essiccata in snack naturali, e l’acqua aromatica di pomodori o peperoni in un insaporitore naturale. 

Gli scarti vegetali come foglie e gambi vengono rivalutati in brodi gourmet o vellutate raffinate: le foglie del sedano per un pesto aromatico, quelle del ravanello per arricchire una frittata, i residui dell’estrattore per la preparazione di dolci rustici. In questo modo, il no waste diventa una vera risorsa economica, oltre che un valore etico.

Eppure, mentre le cucine professionali si rinnovano e investono in formazione e creatività, il comportamento dei clienti rimane spesso distante. Diversi studi, tra cui un’indagine di NielsenIQ, mostrano come i consumatori apprezzino l’idea della sostenibilità, ma siano restii a cambiare le proprie abitudini. 

A confermare questo scarto tra intenzione e azione ci sono anche i dati FIPE con solo il 15,5% degli italiani che porterebbe a casa il cibo non consumato durante un pranzo o una cena al ristorante, e appena l’11,8% farebbe lo stesso con il vino, questo nonostante il 91,8% dei ristoratori abbia dichiarato di essere attrezzato per offrire questo servizio.

E non è tutto: il 74% degli italiani si direbbe favorevole all’idea di poter portare via gli avanzi, e per oltre un quinto (22%) questa possibilità potrebbe persino influenzare la scelta del ristorante. Il problema sembrerebbe dunque non essere la mancanza di offerta, ma un insieme di ostacoli psicologici e pratici. Secondo un ristoratore su due, la vera barriera sarebbe l’imbarazzo nel farne richiesta, a questo si aggiungerebbero la scomodità logistica (19,5%) e la semplice indifferenza (18,3%).

Anche a livello internazionale si osserverebbe la stessa dinamica. Dalle colonne del New York Times poche settimane fa arriva il racconto di una Grande Mela in cui le doggy bag starebbero progressivamente scomparendo, con pizze e piatti lasciati a metà ad affollare i tavoli dei ristoranti, e i clienti, soprattutto quelli che si spostano con i mezzi pubblici o che hanno altri impegni dopo cena, non intenzionati a portare con sé gli avanzi. 

Uno spiraglio positivo potrebbe arrivare dalla Gen Z, più aperta a questo tipo di pratiche, coerenti con una visione più sostenibile e moderna del consumo alimentare. Ma al momento la sfida del no waste resterebbe appannaggio soprattutto di chi è dietro ai fornelli, con un cambio di paradigma che vede l’alta cucina diventare anche strumento educativo e modello economico circolare. 

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