Affidarsi alla tecnologia per salvare uva, caffè e cacao dal cambiamento climatico? Una scommessa pericolosa

Uno studio sul clima mette in guardia, la tecnologia da sola non basta a salvare vino, caffè e cioccolato dagli effetti del cambiamento climatico

11 Nov 2025 - 10:57
Affidarsi alla tecnologia per salvare uva, caffè e cacao dal cambiamento climatico? Una scommessa pericolosa

VINI E DINTORNI - La pressione crescente del cambiamento climatico mette il mondo agricolo di fronte a sfide senza precedenti. Stagioni sempre più instabili, ondate di calore, precipitazioni irregolari e nuovi parassiti stanno rendendo incerte persino le colture più radicate nella nostra cultura come vite, caffè e cacao.

Di fronte a questa crisi globale la tentazione è forte, confidare nella tecnologia come ancora di salvezza. Innovazione, intelligenza artificiale, biotecnologie, geoingegneria, strumenti potenti che promettono di correggere ciò che abbiamo alterato. Ma fino a che punto questa fiducia è ben riposta?

Un dubbio che si rafforza dalla lettura di un recente studio del Dipartimento di Scienze Atmosferiche della Colorado State University. La ricerca, appena pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Research Letters, analizza una delle proposte più radicali, l’iniezione di aerosol stratosferico (SAI). Si tratta di immettere particelle riflettenti nella stratosfera per ridurre la quantità di luce solare che raggiunge la superficie terrestre e contenere l’aumento della temperatura globale, un po’ come accade dopo una grande eruzione vulcanica.

Le simulazioni climatiche condotte dai ricercatori hanno riguardato diciotto grandi regioni agricole tra Europa, Sud America e Africa occidentale, nel periodo 2036–2045. Sono stati confrontati tre futuri possibili: uno scenario senza interventi, chiamato SSP2-4.5, che rappresenterebbe un mondo in cui le emissioni di gas serra continuerebbero a crescere a ritmi moderati, e due scenari con l’applicazione della SAI, ARISE-1.5 e ARISE-1.0, in cui particelle riflettenti verrebbero diffuse nella stratosfera per limitare il riscaldamento globale rispettivamente entro +1,5 °C e +1,0 °C rispetto ai livelli preindustriali.

Per ciascuno di questi scenari, gli studiosi hanno valutato quanto il clima resti adatto alla coltivazione di uva, caffè e cacao, utilizzando un indicatore di “idoneità agroclimatica” che combinerebbe tre fattori chiave: temperatura, precipitazioni e umidità. Questo ha permesso di stimare quanti anni del decennio analizzato presenterebbero condizioni favorevoli alla crescita delle colture nelle diverse regioni e di capire se la geoingegneria solare renderebbe davvero più stabile la produzione agricola.

I risultati sono chiari e al tempo stesso inquietanti, con la SAI che abbasserebbe le temperature ma non garantirebbe stabilità. Solo sei delle diciotto regioni analizzate mostrerebbero un miglioramento affidabile rispetto allo scenario senza intervento, altrove il quadro resterebbe un mosaico di effetti contrastanti, in alcune aree le condizioni migliorerebbero, in altre peggiorerebbero e spesso precipitazioni e umidità diventerebbero ancora più imprevedibili.

Per l’uva la Spagna meridionale sembrerebbe una rara beneficiaria grazie al recupero delle ore di freddo necessarie alle viti e a una minore incidenza di alcune malattie ma in molte altre zone vitivinicole europee i vantaggi si annullerebbero o verrebbero controbilanciati da nuovi rischi. Il caffè in Brasile alternerebbe scenari più favorevoli ad altri segnati da gelo o siccità, il cacao mostrerebbe un segnale positivo soprattutto in Camerun, mentre nelle regioni vicine l’aumento dell’umidità continuerebbe a favorire infezioni fungine.

Anche sul piano economico l’immagine emergente sarebbe tutt’altro che rassicurante dal momento che le differenze nei potenziali ricavi da esportazione tra uno scenario e l’altro potrebbero raggiungere cifre enormi. Per la sola Francia, la forbice tra la simulazione più positiva e quella più negativa per la produzione di vino arriverebbe a quasi 60 miliardi di dollari. La SAI, insomma, rischierebbe di creare vincitori e vinti climatici, senza alcuna garanzia di equità o prevedibilità.

Lo studio non indulge nel sensazionalismo descrivendo con rigore la complessità delle interazioni tra clima e agricoltura ma le sue conclusioni offrono uno spunto di riflessione potente: se anche le tecnologie più avanzate non riescono a fornire risultati stabili, la vera domanda non è quanto possiamo controllare il clima ma quanto siamo ancora capaci, oggi, di adattarci.

In fondo l’adattamento al cambiamento climatico è da sempre parte della storia dell’umanità, le società agricole hanno imparato, nei secoli, a convivere con siccità, alluvioni, spostamenti delle stagioni, la differenza oggi è nella velocità del mutamento. I processi di degradazione ambientale, dall’erosione dei suoli alla perdita di biodiversità, sembrerebbero correre più in fretta della nostra capacità di risposta, le stagioni non cambiano più lentamente di generazione in generazione ma nel giro di pochi anni, quello che un tempo era adattamento graduale oggi rischia di trasformarsi in rincorsa continua.

In questo contesto, affidarsi alla tecnologia come soluzione unica diventa un’illusione di controllo, potremmo forse abbassare la temperatura, ma non possiamo stabilizzare automaticamente un sistema che abbiamo spinto ai suoi limiti. La tecnologia può attenuare alcuni effetti, ma non restituirci il tempo, gli equilibri ecologici e la capacità di assorbire gli shock che abbiamo consumato.

L’agricoltura, più di ogni altro settore, ci ricorda che la sopravvivenza dipende da equilibri locali, dal tempo e dalla conoscenza, elementi che nessuna innovazione può generare all’istante. E a farsi strada anche dalla lettura dello studio è una soluzione diversa dalla scorciatoia tecnologica: strategie di adattamento su misura, pratiche agricole resilienti, tutela della biodiversità, sostegno ai piccoli produttori e cooperazione internazionale. 

La crisi climatica non chiede un nuovo strumento, ma un nuovo modo di collaborare, non una soluzione calata dal cielo, ma un impegno che parte da terra, l’unica dimensione in cui possono crescere le radici di un cambiamento ormai improcrastinabile.

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