Quando l’alta cucina diventa laboratorio: l’alleanza tra Basque Culinary Center e Pipero
Il Basque Culinary Center e il ristorante stellato Pipero di Roma creano un laboratorio di innovazione culinaria, unendo metodo scientifico e creatività
RISTORAZIONE - Roma – San Sebastián. Cosa succede quando una delle più importanti istituzioni accademiche nel mondo della gastronomia collabora con un ristorante stellato per dare vita a un metodo strutturato di innovazione culinaria? Succede che nascono progetti ambiziosi, come quello che unisce il Basque Culinary Center (BCC) di San Sebastián e il ristorante Pipero di Roma, guidato dallo chef Ciro Scamardella. Un’alleanza che combina sapere scientifico e esperienza sul campo, con l’intento di introdurre metodo, creatività e ricerca avanzata nelle cucine professionali.

Photo Credits: Basque Culinary Center
A dirigere l’iniziativa è John Regefalk, chef svedese, docente e coordinatore dell’area cucina e innovazione del BCC, centro di eccellenza mondiale per la formazione, la ricerca, e l’innovazione gastronomica, nonché promotore della piattaforma Chefs Community for Innovation.
Lanciata di recente, questa rete internazionale collega chef, ricercatori e studenti in tutto il mondo, con l’obiettivo di sviluppare nuove idee. Attualmente conta già 60 membri, ma l’ambizione è di raddoppiare entro l’anno.

Photo Credits: LinkedIn
Tra i protagonisti della rete anche Ciro Scamardella, che ha accolto nella sua brigata Natalia Villamor, studentessa all’ultimo anno del corso di Gastronomia del BCC, il cui inserimento ha portato alla creazione di un vero dipartimento interno di Ricerca e Sviluppo, trasformando la sua tesi in un’esperienza concreta al Pipero.
A chi gli ha chiesto quanto sia complicato per un ristorante trovare tempo e risorse da dedicare alla ricerca quotidiana senza interferire con il ritmo serrato del servizio, Scamardella ha spiegato che la sfida è reale e costante: secondo lui, non è semplice individuare cuochi che condividano questa tensione continua verso l'apprendimento e la scoperta di ciò che ancora non si conosce.

L’introduzione degli strumenti tecnologici all’avanguardia – come il fermentatore a controllo climatico, la pentola OCOO per trasformazioni termiche complesse e il Twinstones, raffinatrice ispirata al metate messicano – è avvenuta tramite la creazione di un laboratorio dedicato, dove ogni membro della brigata può sperimentare le proprie idee già progettate.
La sperimentazione, accolta con apertura e curiosità dalla squadra dello stellato della Capitale, ha subito preso forma concreta: sono nati così prodotti come kimchi mediterranei a base di carciofi, friarielli e zucchine; kombucha al limone e zenzero fermentati in bottiglia; e diversi tipi di koji – da riso, nocciole, lenticchie – analizzati per profili enzimatici e aromatici. Molti di questi elementi sono stati impiegati nei piatti del menu, tra cui “Friariello, ostrica e alga nori”, dove il vegetale fermentato si fonde con l’ostrica in doppia consistenza e la freschezza dell’alga, e “Gambero, ciauscolo e mela annurca”, che unisce la dolcezza del frutto alla forza del salume attraverso un brodo concentrato preparato con la OCOO.

Koji di nocciole

Gruè di cacao inoculate con Aspergillus

Mela inoculata
Scamardella ha raccontato che questa esperienza ha modificato l’approccio quotidiano alla cucina: “ogni giorno - ha detto - il team si nutre di nuovi stimoli che vengono prima messi su carta, poi organizzati e infine testati, offrendo una nuova chiave di lettura degli ingredienti.”
Per lo chef due gli ostacoli maggiori incontrati nell’introduzione di tecniche poco comuni in un ristorante stellato: da un lato, la difficoltà nel trovare una persona in grado di dedicarsi quotidianamente alla ricerca, dall’altro l’esigenza di rendere questo lavoro sostenibile anche dal punto di vista economico.
Sul delicato equilibrio tra sperimentazione e identità gastronomica del ristorante, Scamardella ha sottolineato come il lavoro di ricerca serva a migliorare anche aspetti pratici della cucina, come semplificare il lavoro quotidiano della mise en place, rafforzando così la coerenza dell’offerta culinaria. In tema di valore aggiunto che uno studente proveniente da un contesto accademico può apportare in una cucina professionale, invece, la preparazione scolastica rappresenterebbe un contributo fondamentale, capace di arricchire il lavoro quotidiano con competenze e prospettive nuove.
Questo progetto non ha quindi solo prodotto nuovi piatti, ma ha anche alimentato una cultura condivisa dell’innovazione, coinvolgendo tutto il personale e documentando ogni fase per creare un metodo replicabile. Un esempio concreto di quanto la sinergia tra mondo accademico e impresa possa trasformare la gastronomia in una forza di crescita culturale ed economica.
Il Basque Culinary Center, con la sua visione olistica tra scienza, arte culinaria e impresa, conferma così il proprio ruolo come hub globale di innovazione gastronomica. Dal 2011 lavora per fare della cucina una disciplina accademica con impatto sociale, e con il nuovo GOe – Gastronomy Open Ecosystem – apre la porta anche a startup, cittadini e aziende, in un dialogo continuo tra creatività e sostenibilità.
La collaborazione con Pipero è solo un inizio, ma dimostra che anche nell’alta ristorazione c’è spazio per la ricerca, purché supportata da metodo, visione e alleanze intelligenti. Una case history da osservare con attenzione con l’incognita su quanti altri ristoranti saranno pronti a fare della sperimentazione un pilastro del loro futuro.
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