Frena l’export di vini italiani, crescita rinviata al 2023
Il primo trimestre del 2022 registra una contrazione delle esportazioni di vino italiano, dato confermato dall’Osservatorio UIV Vinitaly. L’Italia perde terreno rispetto alla Francia in tre mercati chiave, USA, Cina e Giappone. Prospettive di crescita rinviate al 2023.
Tempi duri per il vino italiano. Le analisi dell’andamento dei mercati nei primi tre mesi del 2022 restituiscono la fotografia di un’Italia che paga molto più dei diretti competitors lo scotto di uno scenario critico, segnato dall’incremento dei costi di produzione e dalla crisi internazionale determinata dal conflitto Russo Ucraino.
I dati doganali sull’import elaborati dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly parlano chiaro: qualcosa è cambiato per il vino del Belpaese in Asia, con una performance negativa del -15,9% in Cina, determinata probabilmente anche dalle restrizioni per la nuova ondata Covid, e del -8,1% in Giappone. Significativa anche la frenata negli Stati Uniti con un Nord America in cui si registra un inaspettato + 6,9% che desta preoccupazioni.
Nonostante infatti i numeri siano ancora in terreno positivo, con una crescita media per l’Italia del 3,7% nei 4 Paesi chiave (Usa, Canada, Cina e Giappone), sostenuta soprattutto dal gradimento delle bollicine nostrane, il dato allarmante è che si perde terreno rispetto ai concorrenti, specialmente rispetto alla Francia che conquista invece un incremento nei 4 Paesi chiave del 7,3%, lasciando sul terreno in Asia un marginale 0,6% e crescendo negli States dell’11%.
A correre in soccorso per la definizione del dato aggregato dell’export italiano è soprattutto il successo in Canada, dove il Belpaese, con un +23%, macina risultati tre volte migliori della domanda di tutti i vini esteri, diventando leader davanti a Stati Uniti e Francia.
Non c’è dunque da dormire sonni tranquilli se si considera che proprio dall’export era partito il recupero dell’industria del vino italiano nel 2021, con numeri da record, più di 7 miliardi di euro, risultato che aveva acceso mille entusiasmi e caldeggiato le più rosee aspettative per quel nuovo anno che invece stenta a decollare.
A pesare c’è la perdita di due mercati in crescita, sui quali le imprese vitivinicole stavano investendo da anni e che sono stati polverizzati a causa dell’esplosione di un inatteso conflitto: la Russia, dove l’Italia era primo fornitore con una quota di mercato del 30% davanti a Francia e Spagna e un giro d'affari di 375 milioni di dollari nel 2021, con un progresso sull'anno precedente dell'11% circa, e l'Ucraina, dove il Belpaese era leader di mercato, registrando un +20% per i vini fermi e frizzanti in bottiglia, e un +78% per gli spumanti.
Ma le zavorre, andando oltre le tensioni geopolitiche, sono anche di altra natura. Il progressivo aumento dei costi delle materie prime, la cui reperibilità è tra l’altro quotidianamente in discussione, sta minando non solo i bilanci, ma la fattibilità della pianificazione delle attività distributive delle aziende vitivinicole.
Il prezzo del cartone è quasi raddoppiato e molte cartiere stanno rallentando la produzione, quello dei tappi è cresciuto del 40%, per il vetro gli incrementi stimati sono intorno al 25%. Mancano bottiglie e il necessario per confezionarle, condizione che rende rischioso accettare ordini che non possono essere evasi nei tempi concordati e che rende necessario ricorrere all’impiego dell’energia per la conservazione dei vini, con conseguente incidenza sui costi. Un’emergenza che secondo gli esperti non rientrerà prima del 2023.
Anche sul fronte dei trasporti la situazione sta diventando insostenibile, oltre alla materiale carenza di pallet, i costi di quelli su gomma sono cresciuti in media del 25%; il record spetta però ai marittimi con un + 400%, sempre che un container si riesca a bloccarlo.
Sul lato dei consumi si fanno sentire gli strascichi di una pandemia ancora non completamente superata, che sembrava definitivamente lasciata alle spalle ma che continua ad incidere sulle scelte e sui comportamenti.
Il clima di fiducia con cui si era aperto il 2022 è venuto velocemente meno a causa della guerra, con una contrazione degli acquisti di vino; a ciò si aggiunge che sui listini inizia a farsi sentire il peso dei rincari che partendo dalla ristorazione è arrivato fino agli scaffali della GDO. Nonostante la catena distributiva abbia fatto fronte comune per ritenere gli effetti dell’inflazione, è divenuto impossibile non ritoccare i prezzi, considerato che i maggiori costi per energia e materie prime hanno fatto capolino già nell’ultimo trimestre del 2021.
Per quanto il quadro delle prospettive dei prossimi mesi resti a tinte fosche e gli analisti mettano in conto una contrazione del fatturato del 2,5 – 3% per il 2022, le imprese vitivinicole italiane hanno sempre dimostrato la capacità di far fronte alle crisi, avendo i numeri e le qualità per poter resistere alle contingenti emergenze internazionali.
Il mondo del vino, che rappresenta un quarto dell’export del settore agroalimentare nostrano, dovrà dare fondo ancora una volta alla sua già nota e dimostrata capacità di resilienza, puntando al supporto dei fondi nazionali e di quelli che l’Unione Europea metterà a disposizione per sostenere le attività di internazionalizzazione attraverso la promozione del Made in Italy su mercati che possano garantirne lo sviluppo, con una crescita che, almeno per il momento, sembra essere rimandata al 2023.
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