Salotto Lounge, la casa degli alcolici italiani a Hong Kong: ''Così abbiamo conquistato la metropoli con un piccolo negozio''

Nicole Cavazzuti ha intervistato a Hong Kong Andrea Vecchio, titolare di Salotto Lounge che importa e vende esclusivamente alcolici italiani

13 Ottobre 2025 - 14:35
Salotto Lounge, la casa degli alcolici italiani a Hong Kong: ''Così abbiamo conquistato la metropoli con un piccolo negozio''

BAR, MIXOLOGY E COCKTAIL - Se il bar numero uno al mondo nella classifica 2025 dei World’s 50 Best Bars, il Bar Leone, è italiano e si trova a Hong Kong, il punto di riferimento per i prodotti alcolici italiani nell’ex colonia britannica in Cina, da quasi dieci anni, si chiama Salotto Lounge: negozio, importatore e distributore di vini di qualità, liquori, distillati e anche qualche birra.

Artefice dell’iniziativa è Francesco Vecchio, milanese ma da vent’anni a Hong Kong. Un pioniere che ha saputo guardare nella direzione giusta, vista la crescita della cultura italiana dell’aperitivo da queste parti, trasformatasi in un vero e proprio boom proprio grazie al dominio fra i 50 Best Bars (mondiali e asiatici) del Bar Leone, preso d’assedio da lunghe file di clienti che attendono ogni giorno di poter entrare.

Proprio da Salotto Lounge abbiamo incontrato Francesco Vecchio e Andrea Motisi, un suo collaboratore, per parlare dell’evoluzione del made in Italy alcolico a Hong Kong e più in generale in Cina. Sempre con uno sguardo al futuro.

L’intervista a Francesco Vecchio di Salotto Lounge, Hong Kong

Perché hai scelto Hong Kong per la tua attività?
In verità, quando sono arrivato per la prima volta qui lavoravo in tutt’altro settore. Poi, un paio di anni dopo, mi sono trasferito per un periodo in Australia per tornare infine a Hong Kong, dove ho sviluppato l'idea di Salotto Lounge.

Quando è partita l'attività?
Nel 2016, in società con un amico che è qui dal 1989, anche se sono esclusivamente io a occuparmi della gestione operativa con la collaborazione di Andrea e di una persona incaricata delle consegne col furgone.

Fra i vostri clienti ci sono anche i cocktail bar: com’è lo scenario della mixology a Hong Kong?
Al momento mi sembra che i bar funzionino meglio dei ristoranti. Il Covid ha cambiato tante cose. La gente si è abituata a cucinare e ritrovarsi con gli amici a casa e ora tende a uscire un po' meno: un tempo a Hong Kong era normale stare fuori fino alle due-tre di notte, oggi verso mezzanotte la maggior parte delle persone va a casa. E molti expat sono tornati nei paesi d’origine o si sono spostati a Singapore, nel momento in cui qui le chiusure si sono protratte un anno più di gran parte del resto del mondo. Inoltre va considerato che Hong Kong è una città molto cara.

Quindi si fa attenzione alle spese, quando si esce la sera…
Non solo, ci sono persone che lavorano qui ma si spostano frequentemente a Shenzen, che è a due passi e dove la vita costa meno. E nel weekend o durante le festività, molti volano in Thailandia, una destinazione di moda che costa molto meno di Hong Kong.

Anche l’affitto del negozio è più caro che altrove?
Sì, nonostante le dimensioni contenute. Costa più di quanto pagheremmo a Milano, che non è certo una città economica.

Il vostro negozio è in Hollywood Road, una delle principali arterie commerciali: potete contare anche sulla clientela turistica?
Il turismo fatica a tornare dopo la pandemia, proprio a causa dei prezzi elevati e della crisi che si sente un po’ ovunque. Certo, in molti vengono qui dalla Cina continentale, però passano il tempo più che altro a scattarsi selfie in scorci che considerano vintage: Hong Kong ha solo 150 anni, ma è considerata antica rispetto a gran parte delle altre città cinesi dove è tutto nuovo e sfavillante. Salotto Lounge, in realtà, funziona grazie alla sua specificità, che lo ha tenuto al riparo anche dalla crisi del retail: ormai i cinesi comprano tutto online e anche qui in Hollywood Road ci sono oggi tanti negozi che restano sfitti per mesi. Solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile.

Salotto Lounge, però, è ancora saldamente al suo posto.
La nostra forza sta nell’avere puntato esclusivamente sui prodotti italiani, portando alcolici che in Cina non c’erano o si trovavano a fatica. Siamo diventati un piccolo riferimento, tanto che abbiamo clienti che arrivano anche dalla Cina continentale e da Macao per comprare vino italiano o certi distillati.

Potenza del made in Italy…
Non è così scontato, nel vino il marchio made in Italy funziona più negli Usa o in Giappone. I cinesi, quando dici vino, pensano per lo più a quello francese, perché qui i francesi sono arrivati prima di noi.

E fra gli spirits? Quali sono i più diffusi in Cina?
Gli unici brand italiani che possono vantare una diffusione significativa sono quelli di grandi gruppi come Campari, compreso Aperol.

Vendete anche online?
Naturalmente, ma essendo limitati agli alcolici l’incidenza dell’ecommerce sul fatturato è abbastanza modesta.

Come scegli i prodotti che distribuite?
Non ho un unico parametro, a volte anche in base ai consigli di amici di cui mi fido. E poi in ambito B2B operiamo molto su commissione, se il cliente ci chiede qualcosa di particolare, noi facciamo di tutto per trovarglielo.

Quanto pesa la tassazione sui prodotti importati dall’Italia?
Dipende dai prodotti. Per quanto riguarda gli alcolici, quelli con gradazione alcolica superiore al 30% sono gravati da dazi al 100%, mentre quelli al di sotto di quella soglia non sono tassati. Un divario enorme.

Il fattore prezzi incide molto sulla vostra clientela?
Noi non ci rivolgiamo al mercato dell’extralusso, ovvero a quella clientela che compra senza problemi bottiglie da 7mila euro. Però abbiamo un pubblico di appassionati che guarda il prezzo, ma senza andare troppo al risparmio. E se ritiene che un prodotto sia troppo costoso, ne sceglie un altro che costa un po’ meno. Anche perché hanno l’abitudine di fare molti regali.

Quest’anno Hong Kong ha ospitato la premiazione finale dei World’s 50 Best Bars e al numero uno si è piazzato un bar italiano vostro cliente, il Bar Leone. Lavorando con i locali, qual è la percezione dell’importanza di questa classifica?
Le classifiche dei 50 Best Bars, sia quella mondiale sia quella asiatica, hanno grande influenza sui consumatori asiatici. E in Cina ha moltissima importanza anche la componente fotografica social: se qualcuno posta la foto di un locale su Xiaohongshu, una sorta di Instagram cinese, può capitare che il giorno dopo ci sia davanti la fila per entrare. E una volta entrati, il primo obiettivo degli avventori non è vedere il bar o assaggiare qualcosa, ma fare una foto…

A proposito, al Bar Leone avete fornito un servizio che va al di là delle bottiglie di alcolici.
Il titolare, Lorenzo Antinori, mi aveva chiesto di portargli una macchina spillatrice di Vecchio Amaro del Capo, del tipo in uso fino a qualche anno fa in quanto il design si sarebbe dovuto armonizzare con lo stile vintage del locale. Ho contattato Caffo, che tuttavia aveva a disposizione solo apparecchi del modello più recente; così abbiamo chiesto all’azienda di recuperarne una classica e dopo una lunga ricerca ne hanno individuata una in Olanda, da dove è stata inviata in Italia per la riparazione e quindi, da Milano, è stata spedita a Hong Kong. Ci sono voluti più di sei mesi, ma alla fine ne è valsa la pena.

Come si vive a Hong Kong da expat?
Come dicevo, è una città cara e anche gli affitti delle case sono costosi. Però è molto dinamica, offre tante opportunità di business e gli stipendi sono elevati, mediamente il 50% più che in Italia, rispetto alla quale le tasse sono molto più basse. E poi è sicura, si gira tranquilli la sera. Aspetti negativi? Ci sono differenze culturali non sempre facili da superare.

Quante lingue parli?
Italiano e inglese. Il cantonese non è essenziale per vivere e lavorare qui, anche se la diffusione dell’inglese ultimamente è un po’ in calo, soprattutto fra i giovani.

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