Oli da semi: crescono i segnali positivi, ma pesa l'incertezza sul futuro
Per Assitol, lo scenario dell'industria olearia resta complesso ed è fortemente legato all'andamento della guerra in Ucraina.
Segnali di ottimismo, ma anche criticità: è ancora complesso lo scenario degli oli da semi. Tuttavia la situazione si va stabilizzando, dopo settimane di tensioni. Lo afferma ASSITOL, l’Associazione Italiana dell’industria olearia che, in occasione dell’assemblea annuale di settore, ha fatto il punto sul complicato scenario attuale.
In questo periodo è difficile fare previsioni, tuttavia, per Carlo Tampieri, appena riconfermato alla presidenza del Gruppo oli da semi, “l’industria torna a respirare aria di normalità. L’orizzonte è però ancora incerto e rischia di diventarlo sempre di più se la guerra non dovesse finire a breve”. L’assemblea, accanto a Tampieri, ha nominato Alessandro Marseglia, Plant manager di Ital Green Oil, ed Enzo Truppa, Oil Trade Manager di Bunge, in qualità di vicepresidenti.
Tra le notizie positive il calo dell’indice FAO dei prezzi degli oli vegetali, sceso del 5,7% in aprile, quasi un terzo in meno rispetto a marzo. In particolare, sembra alleggerirsi la pressione sul fronte dell’olio di girasole, per il quale ASSITOL aveva lanciato l’allarme. Sono ripresi in parte gli approvvigionamenti dall’Ucraina, passando dalle navi alla gomma e ai treni. Le aziende hanno inoltre selezionato e acquistato la materia prima rivolgendosi a mercati di diversa provenienza.
“Oggi il quadro appare più definito – ha osservato Tampieri – possiamo affermare che, in Europa ed in Italia, la disponibilità dell’olio di girasole nei prossimi mesi ci sarà”. Il conflitto incide anche sulle previsioni relative alla semine di cereali in Ucraina. “La nostra stima si aggira sul 20-30% in meno rispetto all’anno precedente – ha chiarito il presidente del gruppo oli da semi di ASSITOL –. Il nostro augurio è che presto il conflitto abbia fine, scongiurando così i rischi di una crisi alimentare globale”.
Gli oli da semi e quello di girasole in particolare, sono basilari per molti filoni produttivi dell’economia italiana, apprezzati dall’industria alimentare, in ambito bakery, e nell’industria oleochimica, zootecnica e energetica. Anche le farine e le lecitine, sottoprodotti della lavorazione dei semi oleosi, sono importanti per molti comparti: in particolare, le lecitine sono largamente usate come ingrediente nell’industria alimentare, le farine proteiche, di cui l’Italia e l’Europa sono fortemente deficitarie, sono impiegate in zootecnia, mentre le altre farine sono utilizzate per la produzione di pane, pasta e pizza.
Il settore lavora in media 3 milioni di tonnellate di semi oleosi ogni anno. Inoltre dagli scarti, si ottiene energia “verde”, sia per l’autoconsumo sia per la rete elettrica esterna.
Tuttavia, pesa sul comparto un pesante deficit proteico, ovvero l’insufficiente produzione di proteine vegetali in Italia ed in Europa, che ha obbligato le aziende del settore a selezionare altrove la materia prima per rispondere alla domanda. Il girasole è, da questo punto di vista, l’esempio più calzante: il suo consumo annuo nel nostro paese è di circa 800mila tonnellate, ma l’industria italiana di spremitura ne produce solo 150mila: ecco perché il comparto si rivolge soprattutto all’Ucraina che, insieme alla Russia, rappresenta il 60% della produzione mondiale di olio di girasole e circa il 75% dell’export mondiale del prodotto.
“Il futuro del nostro settore si gioca sulla sicurezza degli approvvigionamenti – ha ribadito Tampieri -. I nodi da sciogliere sono ancora tanti, come le modalità di trasporto, l’implementazione delle rese produttive e la ricerca, grande dimenticata, senza la quale sarà impossibile aumentare i quantitativi di oleaginose in Italia”. A tale scopo, “la costruzione di una politica di filiera, a Roma come a Bruxelles, appare più che mai prioritaria”.