Alla scoperta del Black (e White) Russian
Storia, ricetta e curiosità di due iconici cocktail “quasi gemelli”, dall’ambasciatrice della Guerra fredda al Drugo de “Il grande Lebowsky”.
BAR&WINE - Cocktail di fama mondiale, il Black Russian è nato in Europa agli albori della Guerra fredda ed è noto e apprezzato anche in Italia, al pari della sua variante White Russian, grazie anche – nel caso di quest’ultima – a un paio di importanti citazioni cinematografiche poco più di vent’anni fa. Scopriamo allora questo cocktail “classico contemporaneo” a base di vodka e liquore al caffè (e panna, nella versione “white”).
La storia e il nome
Il Black Russian fu creato nel 1949 da Gustave Tops, uno dei più noti bartender dell’epoca, che lavorava all'hotel Metropole di Bruxelles. Proprio nel periodo in cui iniziavano a crescere le tensioni fra Stati Uniti e Russia, Tops realizzò il cocktail per Perle Skirvin Mesta (1882-1975), assidua frequentatrice del bar del Metropole nel periodo (fra il 1949 e il 1953) in cui fu nominata da Harry Truman ambasciatrice americana nel vicino Lussemburgo (che tra l’altro era il Paese di origine del barman). Il nome derivava ovviamente dal colore scuro e dall’origine dell'ingrediente principale, la vodka, con un non troppo velato riferimento alla Guerra fredda con la Russia che coinvolgeva il Paese della diplomatica.
Quest’ultima apprezzò il drink e questo contribuì a renderlo famoso: Perle Mesta era infatti uno dei personaggi più noti e citati dalle cronache mondane negli Usa. Figlia di un ricco petroliere dell’Oklahoma e vedova di un importante industriale della Pennsylvania, la donna divenne famosa per il suo attivismo (fu membro del National Woman's Party e poi del Partito Democratico, nonché sostenitrice di un Emendamento per i Diritti Uguali), ma anche per gli sfarzosi party che organizzava a Washington, frequentati da artisti, personaggi dello spettacolo e soprattutto esponenti politici di tutti gli schieramenti (oltre a supportare il democratico Truman era anche amica di lunga data della famiglia del conservatore Eisenhower): solo chi riceveva l’invito a una sua festa poteva essere certo di avere raggiunto una posizione di rilievo nella politica nazionale americana negli anni ’40 e ’50.
Da bon vivant quale era, Perle Mesta (che fra l’altro ispirò la figura della protagonista del musical “Chiamatemi Madame” di Irving Berlin del 1953) era una grande amante dei cocktail: un drink a lei dedicato non poteva quindi passare inosservato nel bel mondo che presenziava ai suoi ricevimenti, tanto che in pochi anni il Black Russian divenne famoso in tutto il mondo.
Il White Russian
Non vi sono certezze, invece, sulla nascita del White Russian: qualcuno sostiene che fu creato dallo stesso Gustave Tops insieme con il Black Russian, o addirittura prima. Più verosimilmente, però, fu realizzato nella prima metà degli anni ’60, forse a Oakland in California, a opera di un ignoto barman che pensò di aggiungere crema di latte alla ricetta del cocktail per renderlo più dolce e cremoso in superficie.
Fatto sta che la prima menzione certa di questo drink risale al 21 novembre 1965, giorno in cui l’Oakland Tribune pubblicò una pubblicità del liquore al caffè Coffee Southern in cui veniva riportata la ricetta del White Lady. Qualche anno dopo il cocktail conobbe un certo successo nelle discoteche, nell’era della disco music anni ’70, ma il vero boom - come spiegheremo fra poco - arrivò alla fine del secolo scorso, grazie al film cult “Il grande Lebowski”.
La ricetta IBA del Black Russian e del White Russian
Nato inizialmente in versione shakerata e servito in coppetta, il Black Russian è stato inserito nella lista ufficiale dei cocktail IBA (International Bartenders Association), insieme con il White Russian, in occasione della prima revisione, nel 1986, però con tecnica di preparazione Build, ovvero preparato direttamente in un bicchiere Old fashioned. A partire dalla quinta lista del 2011, il White Russian non è più citato come cocktail a sé stante ma come variante del Black Russian.
Tecnica: Build
Bicchiere: Old fashioned
Ingredienti:
50 ml vodka
20 ml liquore al caffè
(Solo per il White Russian) 30 ml crema di latte
Preparazione: versare vodka e liquore al caffè direttamente nel bicchiere riempito di ghiaccio e mescolare delicatamente. Per ottenere il White Russian, inoltre, aggiungere la crema di latte in superficie.
Il Black (e White) Russian al cinema
Entrambi i nostri cocktail vantano citazioni cinematografiche “d’autore”, anche se le più importanti sono state per la variante “bianca”. Il Black Russian venne menzionato, anche se non compare, in una battuta in lingua originale nel film “48 Hrs.” (“48 Ore”) del 1982, commedia poliziesca di successo diretta da Walter Hill in cui, accanto al protagonista Nick Nolte, debuttò sul grande schermo un giovane Eddie Murphy già famoso in patria per il “Saturday Night Live”, ma ancora lontano dalla celebrità mondiale che arrivò un paio di anni dopo con “Beverly Hills Cop”. Peccato che, nel doppiaggio italiano, “Black Russian” sia stato sostituito da “una birra scura”, perdendo tra l’altro la connessione fra il cocktail e la vodka. Per questo riportiamo il dialogo in inglese.
Il White Russian deve invece molta della sua fama a “Il grande Lebowski” dei fratelli Coen, uscito nel 1998 e diventato nel tempo un autentico cult movie, nel quale ricoprì un ruolo da vero co-protagonista. Lo si nota spesso in mano al protagonista Jeffrey Lebowski, detto “Drugo” (interpretato da Jeff Bridges), un irresistibile sfaccendato che lo prepara in ogni momento della giornata, sia pure cambiando ogni volta l’ordine degli ingredienti. E lo chiede anche quando si trova di fronte al suo antagonista Jackie Treehorn (Ben Gazzarra).
Sei anni dopo, il White Russian fu di nuovo citato… in versione analcolica (“Senza ghiaccio, senza vodka, senza kahlua”) in “Catwoman”: in realtà è solo crema di latte, del cocktail originario non rimane altro. Ma tant’è, di fronte alla bellezza abbagliante di Halle Berry nel film, siamo disposti ad accettare il sacrificio, e pazienza se il film fu un flop e le valse un Razzie Award (un ironico contraltare dell’Oscar, che pure Berry si era aggiudicata due anni prima per “Monster's Ball”) come peggior attrice protagonista. Che lei ritirò alla cerimonia ufficiale con un iconico e divertente discorso.
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