Secondo una ricerca di Rome Business School gli italiani sono sempre più interessati a un'alimentazione sana
La Rome Business School presenta i risultati della ricerca “L’importanza di un’alimentazione sana: trend e sfide in Italia e nel mondo"
Rome Business School, la business school a maggior presenza internazionale in Italia con studenti provenienti da 150 Paesi, da pochi mesi entrata a far parte di Planeta Formación y Universidades, il network internazionale creato nel 2003 da De Agostini e dal Gruppo Planeta, ha realizzato la ricerca sul tema “L’importanza di un’alimentazione sana: trend e sfide in Italia e nel mondo”.
Secondo la ricerca, nell’ultimo anno si è registrato un incremento dell’interesse dei consumatori verso un’alimentazione sana, gli alti tassi di obesità e diabete hanno reso la popolazione mondiale ed italiana sempre più consapevole della relazione tra cibo e salute a lungo termine, mentre la corrente emergenza epidemiologica da COVID-19 ha contribuito a rivoluzionare i consumi alimentari non solo del paese ma di tutto il mondo.
L’obbligo domiciliare ha infatti portato ad un elevato acquisto di prodotti alimentari da dispensa (il 37% in più rispetto al 10% dei cibi freschi) e ad un ritorno al consumo di cibi “semplici” come farina, pane e riso il cui utilizzo è triplicato nel 2020. L’emergenza sanitaria ha inoltre evidenziato la particolare attenzione che i consumatori hanno nei confronti dell’origine del prodotto alimentare e della materia prima utilizzata nel processo di lavorazione.
Rome Business School Research Center ha messo in luce diversi macro-fattori che caratterizzano le principali tendenze legate al mercato alimentare attuale.
- L’aumento della popolazione mondiale del 10% (da 7 a 7,7 miliardi di abitanti) ed i cambiamenti sulle scelte dei prodotti di consumo dell’ultimo anno, hanno portato ad un incremento della produzione di cereali del 17,3% dal 2012 ad oggi;
- Attualmente a livello mondiale il 60% dell’alimentazione si basa su 3 cereali: grano, riso e mais, riscontrando un miglioramento sulla qualità della vita derivante da un elevato consumo di cibi “semplici” e poco raffinati;
- In Italia, il made in Italy dei prodotti alimentari incide per il 24,4% sul fatturato del largo consumo agroalimentare, riscontrando oltre 2,34 miliardi di euro di sell-out per tutti i prodotti che sottolineano la loro identità regionale sulle confezioni. Su questo fronte si registra una crescente attenzione per l’autarchia alimentare con i consumatori particolarmente attratti all’Italianità, con un giro di affari complessivo che è arrivato a superare i 7,1 miliardi di euro.
- A livello globale la crescente attenzione verso un alimentazione sana e sostenibile è una tendenza che si sta affermando in tutto il mondo e che sta indirizzando la produzione delle aziende verso prodotti più salutari prediligendo ingredienti sostenibili ed a Km0.
- In Italia le grandi catene alimentari puntano sull’identità regionale dei prodotti, i quali hanno visto crescere le proprie vendite del 26% nel corso dell’ultimo anno (da Giugno 2019 ad oggi). In tale contesto la classifica delle regioni più presenti sulle etichette dei prodotti alimentari, vede al primo posto il Trentino-Alto Adige, mentre nel Lazio si registra un calo importante rispetto al 2018 del -2,0% e a seguire Piemonte ed Emilia Romagna.
- Sempre in Italia l’emergenza epidemiologica da COVID-19 ha riscontrato un aumento degli indici legati all’obesità infantile, in cui il lungo tempo trascorso tra le mura domestiche ha favorito la tendenza ad una alimentazione disordinata e poco sana. La sfida della lotta all’obesità, fenomeno in crescita in tutto il mondo, resta comunque in primo piano come una delle maggiori priorità su scala globale. A tal proposito, la ricerca rileva che una riduzione pari al 20% delle calorie negli alimenti ad alto contenuto di zucchero, sale, calorie e grassi saturi, potrebbe prevenire 688 mila malattie non trasmissibili entro il 2050, far risparmiare 278 milioni di euro all’anno in spesa sanitaria, far aumentare l’occupazione e la produttività di una quota pari a 18 mila lavoratori a tempo pieno all’anno.
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