Alla scoperta dell'Angelo Azzurro, storia del cocktail che dominò le discoteche

Dimenticato da almeno vent’anni grazie alla riscoperta della cultura del buon bere, l’Angelo Azzurro è stato un simbolo delle discoteche anni ’80 e ’90

12 Dic 2025 - 09:51
Alla scoperta dell'Angelo Azzurro, storia del cocktail che dominò le discoteche

BAR & WINE - Non è la prima volta che, nell’appuntamento settimanale Alla scoperta di… ci occupiamo di cocktail quasi dimenticati. Ma se nelle altre occasioni lo abbiamo fatto perché ritenevamo che valesse la pena riscoprirli e apprezzarli, questa volta non ci spingiamo a tanto, anzi: se riportiamo alla luce l’Angelo Azzurro è per raccontare una storia curiosa e risvegliare l’effetto nostalgia in chi negli anni ’80 e ‘90 c’era e frequentava le discoteche, regno indiscusso di questo drink, più che per invitarvi a berne uno ai giorni nostri. A meno che non vogliate rendervi conto dei progressi fatti dalla mixology in questi quarant’anni.

La storia

Se siete dei baby boomer o appartenete alla Generazione X, probabilmente nominare l’Angelo Azzurro equivale a tornare con i ricordi a un’epoca di cocktail colorati, dolciastri e fortemente alcolici e a lunghe serate – ma anche pomeriggi – in discoteca, dove quegli intrugli andavano per la maggiore. Nonostante la grande popolarità (all’epoca), la storia di questo cocktail fino a qualche tempo fa era avvolta nell’oscurità: per qualcuno derivava dal Blue Lagoon, cocktail a base di vodka, blue curaçao, lime e soda al limone creato fra gli anni ’60 e i primi ’70, forse a Parigi e forse da Andy MacElhone, figlio del celeberrimo Harry, all’Harry’s New York Bar; altri ritenevano che prendesse il nome dall’omonimo film del 1980 con una giovanissima Brooke Shields (“Laguna blu” in Italia).

In realtà, spulciando fra i “testi sacri” della mixology, ritroviamo un antenato del Blue Lagoon (e quindi dell’Angelo Azzurro) già nel 1930, nel pluricitato “The Savoy cocktail book” del grande bartender Harry Craddock: si chiamava Blue Monday e, come l’Angelo Azzurro, proponeva un singolare mix di triple sec e blue curaçao, entrambi liquori a base di arancia, ancora mescolati alla vodka (e in quantità più contenute, a parte il blue curaçao). E qualcuno ricorda pure che a Milano, negli anni ’70, circolava in alcuni locali un drink chiamato Acqua del Naviglio, anch’esso composto da gin, liquore all’arancia e agrume, ma di cui non siamo riusciti a trovare tracce scritte.

Comunque sia, nel 2020 un articolo del magazine Bartales, a firma Bastian Contrario, ha svelato che a creare l’Angelo Azzurro così come (ahimè) lo conosciamo è stato nel 1980 il barman di origini napoletane Giovanni Pepè, detto “Mammina”, per l’apertura dell’omonima discoteca gay di Roma. “C’era gin, triple sec (in quel caso Cointreau), blue curaçao e mettevo alla fine qualche goccia di limone”, ha poi ha poi raccontato lo stesso Mammina a Vice. Aggiungendo che “è nato in una coppetta martini, ma successivamente ho deciso di aggiungere la tonica e di servirlo in un highball. Beh, in effetti era un po’ fortino, ecco perché forse piaceva”.

Cocktail “da sballo”

Sì, perché negli anni ’80 non ci si poneva più di tanto il problema che un cocktail fosse buono né tantomeno sano, quanto piuttosto che facesse “sballare” il più in fretta possibile. Con ogni probabilità, quindi, fu proprio l’elevata gradazione alcolica, insieme al grande successo del locale in cui veniva servito, frequentato non solo dalla comunità LGBTQ+ per le sue serate divertenti e trasgressive, che l’Angelo Azzurro si diffuse in poco tempo in tutta Italia e anche oltre, magari favorito anche dalla sua irresistibile colorazione – ovviamente – azzurra (anche se Instagram non c’era ancora). Diventando uno dei simboli della “disco culture” fra gli anni ’80 e ’90, insieme con altri cocktail (in)dimenticabili come il B-52 (kahlúa, crema al whisky e Grand Marnier) o l’Invisibile (triple sec, vodka, rum bianco, gin, zucchero, limone).

Poi finirono gli anni ’90, finirono le serate all’Angelo Azzurro (la discoteca, che chiuse essere stata brevemente anche un punto di riferimento della cultura dark) e finì la moda di questo cocktail e degli altri drink “da disco” contemporanei, cancellati dalla renaissance della mixology che, con il nuovo secolo, ha riportato in auge la cultura del buon bere. Alla faccia di chi dice che una volta era tutto più bello.

Il nome 

Il colore, è ovvio, ha ispirato il nome del drink, ma non solo. Per un drink nato in un locale gay è naturale pensare anche a un omaggio all’omonimo film del 1930 che consacrò Marlene Dietrich, diva dichiaratamente bisessuale che ebbe tantissime amanti donne (anche se mai ufficialmente confermata, avrebbe avuto una breve relazione anche con la rivale Greta Garbo). E che, sempre nel 1930, nel film “Marocco” fece scalpore per il bacio con una donna, fra le prime rappresentazioni di un bacio omosessuale nella storia del cinema.

La ricetta dell’Angelo Azzurro

Se avete letto fin qui questo articolo, non vi stupirete del fatto che l’International Bartenders Association (IBA) non abbia mai incluso l’Angelo Azzurro nella lista dei suoi cocktail ufficiali. Vi è entrato brevemente (nella seconda lista, dal 1986 al 1993) il Blue Lagoon, di cui può essere considerato una variante.

Se non lo avete mai assaggiato, con questa ricetta (tratta da Wikipedia) potete togliervi la curiosità. Oppure potete tranquillamente continuare a ignorare che sapore abbia e vivere felici.

Tecnica: Shake and Strain

Bicchiere: coppetta Martini (preventivamente ghiacciata)

Ingredienti:
60 ml gin
40 ml triple sec (Cointreau)
10 ml blue curaçao

Garnish: scorza di limone o di lime

Le varianti

Non essendo mai stata codificata ufficialmente, la ricetta dell’Angelo Azzurro è stata variamente interpretata nel corso degli anni (molti lo realizzavano mescolando i tre ingredienti in parti uguali). Ma ci fu anche chi riuscì a… peggiorare le cose con il Bomba Blu, ovvero la versione long drink, servita in bicchiere Highball con l’aggiunta di 90 ml di limonata o gassosa.

Leggi l'articolo anche su MixologyItalia.com

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