Niente Gin Tonic e bottiglie con etichette: ecco il Dr. Stravinsky di Barcellona
Nicole Cavazzuti a Barcellona ha intervistato César Montilla, co-titolare del Dr. Stravinsky, il bar "senza etichette" del Born District
BAR, MIXOLOGY E COCKTAIL - A Barcellona, nel Born, c'è un bar dove le bottiglie dietro al banco non hanno le etichette. Dove non c'è nessun marchio in vista, solo vetro e un menú che somiglia più a una mappa stellare che a una drink list.
Parlo del Dr. Stravinsky, 48esimo miglior bar del mondo nel 2024.
Ora, da fuori non puoi immaginare quanto questo bar sia speciale. La porta è discreta, quasi anonima, se non fosse per l'insegna dei 50 best bars e il buttafuori che regola gli ingressi.
Quando varchi la soglia, però, ecco la sorpresa: sei catapultato in un mondo che sa di mistero, di spezie, di magia.

Dr. Stravinsky
Nato nel 2017, figlio del Gruppo Confiteria (che già ha costellato Barcellona di ottimi cocktail bar di fama internazionale, come Paradiso e Monk), Dr. Stravinsky è un incrocio perfetto tra un'antica farmacia e un moderno laboratorio.
Solo forma? No. Non è solo scenografia, è filosofia, è ricerca, è una battaglia contro l’ovvio. Qui non si mescolano solo ingredienti, si costruiscono esperienze, si sfidano convenzioni, si esplora l’anima dei sapori.
Qui l'ottanta per cento degli ingredienti sono fatti in casa. Fermentano, macerano, chiarificano, trasformano. E ogni drink è un viaggio, una storia, un’idea portata all’estremo.
“I cocktail sono il risultato di ore di ricerca e sperimentazione" mi spiega César Montilla, co-proprietario e bar manager di Dr. Stravinsky.
L'intervista
Mi ha colpito molto la scelta di eliminare i brand alle spalle del barman. Prima d'ora avevo visto una bottigliera simile solo da Filippo Sisti al Talea di Milano (nel 2018).
È vero, è raro. Tutti espongono le bottiglie con i marchi. Noi no, perché vogliamo spostare l’attenzione. Mi spiego: se vedi una etichetta nota, ordini quella senza pensarci. Così invece sproniamo il cliente a leggere il menu, a lasciarsi incuriosire e guidare.
Una scelta radicale, coerente con il vostro originale menù...
È un piccolo cosmo. Ogni pianeta rappresenta un gusto – dolce, amaro, fruttato, umami – e ogni stella un cocktail. Se ti piacciono certi sapori, segui la linea tra i pianeti e scopri i drink che li interpretano. È un gioco, ma anche uno strumento utile.
Se vuoi davvero scoprire cosa ti piace, quel percorso ti aiuta. Da noi entri, ti lasci guidare e noi ti accompagniamo.
E se uno chiede un Gin Tonic?
Gli diciamo che non lo facciamo. Niente Cuba Libre, Gin Tonic, Vodka Tonic o birra. Niente bibite industriali. Lavoriamo con quello che produciamo o scegliamo.
I classici li fate, su richiesta?
Sì, se possiamo farli con gli ingredienti che ci rappresentano. Devono stare nel nostro mondo.

Anche perché il vostro lavoro sugli ingredienti è molto profondo. Mi racconti dell'uso del burro nei drink?
È uno degli ingredienti chiave. Infondiamo la panna con sei spezie e un tocco di guasave, poi la trasformiamo in burro. Lo usiamo in cinque cocktail diversi, con tecniche diverse. L’aceto lo otteniamo da una doppia fermentazione, e anche il formaggio di capra è fatto con una nostra ricetta: mele verdi, polline d’api, anice. Stagiona 25 giorni.
Un approccio che somiglia sempre di più a quello della cucina.
In parte, sì. Facciamo molta ricerca. Ma alla fine conta una sola cosa: il drink dev’essere buono. Altrimenti il resto perde di significato.
C’è un drink in particolare che per voi è diventato un riferimento?
Sì, un cocktail che teniamo in carta da otto anni. È agrumato, secco, dolce ed erbaceo. È talmente richiesto che non l’abbiamo mai tolto dal menù.
Siete molto attenti anche alle nuove tendenze. Una su tutte: i drink low alcol.
Abbiamo 21 cocktail in carta. Di questi, 7 possono essere fatti analcolici e 10 hanno una gradazione alcolica bassa. Prima ne avevamo tre. Ora l’offerta è cresciuta, e funziona.
Com’è il vostro pubblico?
Molto vario. Locali, turisti, gente che passa e poi torna. E molti si portano via una maglietta, un cappello. Un pezzo materiale di un’esperienza immateriale.
Chiudiamo con una domanda semplice, ma non banale. Per te un cocktail è...?
Un atto di fiducia. Una miscela che può cambiare l’umore o la giornata. È tecnica, certo, ma anche visione. Come l’arte. Come la cucina. Come la scrittura.

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