Anavà: tra via del Corso e Fontana di Trevi un nuovo indirizzo del gusto
Anavà apre a Roma: lo chef Danilo Mancini porta la cucina italiana d'autore in un menù fra tradizione e innovazione.
RISTORAZIONE - Roma pulsante di vita eterogenea, dove convergono flussi incessanti di viaggiatori curiosi, turisti d'assalto, uomini d'affari, politici, ecclesiasti e "coraggiosi romani" dediti al passeggio e allo shopping: in questo scenario dinamico nasce una proposta gastronomica innovativa. A ridosso del celebre monumento di Fontana di Trevi si snoda una strada dall'eleganza sottile, testimone silenzioso di memorie che evocano una Roma antica e aristocratica - Via dell'Umiltà, denominazione che trae origine dalla Chiesa di Santa Maria dell'Umiltà, fulcro del piccolo rione che la circondava - dove prende vita un'iniziativa culinaria di grande ambizione.
L'eleganza e il carattere riservato che contraddistinguono questa strada, tra palazzi nobiliari e sedi istituzionali, si sono mantenuti nel tempo, e proprio da qui Anavà, sotto la guida dello chef Danilo Mancini, avvia la redazione di un nuovo capitolo della narrazione gastronomica capitolina. In un quartiere spesso dominato da una proposta turistica omologata e priva di profondità, Anavà rappresenta un ritorno alla vera cucina italiana, caratterizzata da materia prima eccellente, studio, artigianalità e grandissima tradizione.

Una metamorfosi quotidiana fra tradizione e contemporaneità
Con l'arrivo della sera, il locale rivela la sua essenza più autentica, vestendo i panni della gastronomia italiana d'autore: un ristorante che trasforma la grande tradizione in una tela su cui sperimentare, creare ed emozionare. Nonostante sia un indirizzo nuovo, l'atmosfera calda e accogliente racconta già una storia di gusto e ricerca attraverso la cucina italiana contemporanea, raffinata e identitaria dello chef Mancini.

Vengono demoliti gli stereotipi gastronomici da cartolina e si restituisce dignità e profondità al centro storico di Roma. Si tratta infatti di un progetto pensato per riportare i romani a Fontana di Trevi e dimostrare che anche nel cuore turistico della città può essere espresso un pensiero gastronomico basato su passione, ricerca e coerenza: viene raccontato un mestiere antico fatto di dedizione e artigianalità, di tradizione ed estro.
Anavà non rappresenta esclusivamente sofisticazione, ma accompagna il ritmo della giornata con eleganza cangiante, come una diva d'altri tempi che sa trasformarsi senza perdere coerenza e stile. Allegro e vivace al mattino, apre le porte per una golosa colazione sia a buffet che à la carte, mentre a pranzo diventa un bistrot fresco e informale per una piacevole pausa di ristoro.

Protagonista di questo spazio è anche il bancone bar, con il suo design moderno che accoglie gli ospiti in modo avvolgente creando un'atmosfera conviviale anche per chi, da solo, si siede a mangiare. Iced Coffee, centrifughe e infusi sono gli accessori che conducono Anavà nella sua trasformazione in cocktail bar quando, attraverso una selezione di liquori e distillati italiani, i grandi classici della mixology prendono la scena affiancandosi a twist creativi. A dirigere la regia di questa programmazione all day il direttore operativo Davide Giuffrida.
Atmosfera e filosofia culinaria
Anavà è il luogo dedicato a chi ama prendersi il proprio tempo lasciandosi accogliere in un locale il cui sapore è quello di un moderno bistrot che con lievi richiami a uno stile retrò scandisce lo scorrere della giornata. Tra le sfumature del verde malachite e dell'ocra trovano posto le trenta sedute del ristorante. Dettagli in ottone, dalle linee morbide e sinuose, ridisegnano l'ingresso e la vetrata in fondo alla sala che, come un sipario, si apre sulla cucina a vista in cui lo sguardo incontra il gesto sapiente dello chef Danilo Mancini, coadiuvato dal sous chef Fabio Sopranzi.

Da sinistra: Chef Danilo Mancini, Pastry Flora Amitrano e Sous Chef Fabio Sopranzi
Dietro quella parete trasparente, che separa senza nascondere, prende forma l'anima di Anavà, fatta di passione, ascolto e desiderio continuo di evoluzione. Danilo Mancini, chef silenzioso e determinato, è lo spirito quieto di questa sinfonia gastronomica. Il suo è un approccio umile e curioso. Non si impone con la sua visione, ma si lascia attraversare dalle vibrazioni che la sala rimanda, perché per lui la cucina è convivialità nel più autentico dei significati.
Non si tratta di dare voce all'ego, ma di dialogare con il commensale attraverso la tradizione italiana e le sue infinite sfumature regionali. Il percorso di Mancini non nasce sotto i riflettori, ma nel silenzio delle cucine e nella determinazione di chi ha ben chiaro il proprio sogno. Cresce a Frosinone, dove fin da bambino avverte un'attrazione istintiva per i fornelli: più di una passione, un richiamo.
Frequenta l'Istituto Alberghiero di Cassino e poi Roma diventa presto il suo campo di battaglia e di crescita. Dopo sei anni all'Hotel d'Inghilterra dove affina tecnica e disciplina, arriva Caffè Propaganda e poi l'incontro con la cucina stellata di Angelo Troiani, per il quale ricopre il ruolo di sous chef. Qui, Danilo impara a trattare ogni ingrediente – anche il più semplice – con rispetto assoluto, a riconoscere l'importanza dell'equilibrio nella costruzione dei sapori e soprattutto nutre quella curiosità che è alla base della sua visione giocosa della cucina.

"La cucina è quel faro che ha sempre illuminato la mia strada" racconta Danilo. "Ho sempre saputo chiaramente cosa volevo fare e ho trascorso la mia giovinezza formandomi nelle grandi cucine della capitale. Oggi Anavà è il mio regno e il mio sogno dove prendono forma la passione e le mie visioni, con le idee che, nutrendosi di sapori, si trasformano in piatti. La cucina italiana con le sue tradizioni è il mio negozio di giocattoli: entro, guardo e invento nuovi giochi."
Il percorso gastronomico tra memoria e innovazione
Il menu di Anavà rappresenta un itinerario gustativo che si muove tra salse ricche e stratificate, piccoli concentrati di memoria che raccontano di tempi in cui il gusto non era ancora stato omologato. In esse, Danilo ritrova il senso profondo della cucina come arte artigianale, lontana dalla serialità, capace ancora di stupire. È il caso del suo Pollo alla Romana, un delizioso bon bon che in una glassa di peperoni arrostiti racchiude un saporitissimo pollo servito su una salsa in grado di imprimere al boccone tutta la profondità che questo piatto della tradizione romana porta con sé.

Questo scrigno di sapore fa parte della sezione degli antipasti, Mozzichi e Bocconi, che introducono alla cucina conviviale e giocosa di Anavà attraverso piccole porzioni. Studiati per invogliare il commensale a una composizione libera del proprio inizio, i piccoli assaggi invitano alla condivisione. Via libera allora allo sharing con la Parmigiana, proposta in versione stecco, racchiusa in una croccante panure e accompagnata con pomodoro candito e crema di basilico.
Si può poi passare al Biscotto, l'antipasto mascherato da dessert, che prende in prestito la forma dal celebre "Cucciolone" e la farcisce con un cuore salato di crema di formaggio fresco e mascarpone accompagnato da un paté di fegatini di pollo e di bufala, guarniti con cipolla in agrodolce a chiudere il contrasto. Divertente anche il modo di trasformare un classico Prosciutto e melone in un antipasto di mare grazie al prosciutto di pescato realizzato dallo chef.
La cucina di Anavà è dunque gioco, sperimentazione e voglia di raccontare senza didascalie. Danilo Mancini ama travestire i sapori della memoria con abiti inaspettati, come in un piccolo carnevale dove ogni assaggio è un morso che toglie la maschera, una maschera costruita attraverso sapienti passaggi tecnici e profondo studio della materia prima.
Tra la sezione dei primi piatti, lo chef strizza l'occhio ai vegani con la sua Genovese tutta vegetale che è un piatto studiato in ogni sua componente, a partire dalla linguina di farro, scelta per la sua capacità di lasciarsi avvolgere dal sugo. Si crea un'illusione di cui protagonista assoluto è il cardoncello, tenace e polposo in grado di mimare la carne attraverso una sapiente cottura alla brace. La cipolla infine, regina indiscussa di questa preparazione, diventa tenera e fondente ma anche croccante, grazie alla frittura.

Altro inganno poetico è il tagliolino fresco Mare e Monti, che testimonia un approccio no waste alla cucina. Qui la "terra" non c'è, ma viene evocata nella trasformazione della seppia che si fa lardo. Il magro cefalopode diventa la parte grassa e il nero delle sue sacche, miscelato con acetosella, dona freschezza. A chiudere il piatto con una nota dolce e marina è lo scampo lavorato in duplice modo: con le teste si realizza un brodo leggero in cui cuoce il tagliolino – rigorosamente fatto in casa – mentre la sua polpa cruda completa il tutto.
Ironia e gioco caratterizzano anche i secondi piatti, come nel Saltimbocca di rana pescatrice, dove il gioco è nel nome: la rana "salta" e finisce in un vaso di cottura che viene aperto in sala. Marinata due giorni nel latticello e cotta in un fondo ottenuto con la sua lisca, gambuccio di prosciutto e vitello, viene servita su una crema di cicoria e fonduta di cipolla. Raffinato, scenografico e divertente non è da meno del Cordon Bleu di pesce spada che diviene un omaggio inconsueto al classico da bistrot.
Un giocoliere, un illusionista, un saltimbanco tra i sapori o semplicemente un curioso amante della cucina e delle sue infinite interpretazioni? Dai classici della tradizione delle cucine regionali ai must che hanno segnato mode e tendenze, lo chef Mancini è un po' tutto questo. Ecco che nel suo menu non può mancare un tributo ai cult degli anni 70 e 80. Al via la sua interpretazione delle Pennette alla vodka, scomposte nei loro elementi sono servite con una salsa di datterino, pancetta infusa nella panna a creare un burro aromatico, e poi un gel di vodka. Le penne, monograno Felicetti, servite tiepide, esaltano il sapore di diversi ingredienti che una volta in bocca ricompongono la loro armonia.
Stracult anche Il Cocktail di gamberi. Servito rigorosamente in coppa stravolge texture e consistenze. I gamberi, sia crudi che cotti, sono serviti con indivia riccia, croccante e amarognola, e fresco gel di lattuga. Chiude il piatto la salsa cocktail al cognac e una enfatica presentazione al tavolo che prevede l'affumicatura sempre al cognac.
Giocosa e creativa anche la proposta dolce, studiata dallo chef Mancini in collaborazione con la pastry chef Flora Amitrano. Sebbene apparentemente classica si muove anch'essa su una palette gustativa che attraverso aromatizzazioni e acidità propone una linea fresca e inusuale. Ne sono esempi il Fior di fragola, un cremoso al philadelphia servito su un crumble di mandorle che utilizza fragole sott'aceto, sambuco, olio di oliva e rucola o il Ricotta e visciole che trasforma il tradizionale dolce laziale in una mousse di ricotta glassata e servita con visciole, terra di pinoli, olio di foglie di fichi e una chiffonade di foglie di mirto dalle note amaricanti.
Oltre alla scelta à la carte, la cucina di Anavà, che si propone dunque come un laboratorio quotidiano del gusto in cui il palato non smette di giocare attraverso un viaggio tra sapori e tradizioni, presenta anche due menu degustazione: Revival, 5 portate a 55 euro per ripercorrere i grandi classici della cucina degli anni 80, e Anavà, sette portate a 85 euro per un'immersione più profonda nella cucina dello chef Mancini.
La mixology contemporanea
Per un aperitivo o un dopo cena al cocktail bar di Anavà le icone della mixology prendono la scena affiancandosi a twist creativi ideati dai bar tender Alessio Di Stefano e Massimo Romano. L'ispirazione nasce dallo studio dei grandi classici proposti in chiave contemporanea non con l'intento di stravolgere, ma riscoprirli seguendo tre linee guida che ne orientano la trasformazione: ingredienti di prima qualità, tecniche moderne di miscelazione e preparazioni fatte in casa.
L'utilizzo di materie prime selezionate e l'attenzione per ogni singolo dettaglio – dallo sciroppo alle infusioni – permettono di restituire un'esperienza autentica, che guarda al presente senza dimenticare le origini. Il risultato? Cocktail che conservano l'anima dei grandi classici, ma si presentano con un nuovo linguaggio, come il Bellini, in cui la nota fruttata della pesca è rivisitata in chiave agrodolce grazie a uno shrub di pesca gialla, mentre la bollicina è affidata al vino bianco "Bellone", espressione autentica del territorio laziale, in un gioco raffinato tra freschezza e territorialità.
Il Negroni si veste di cremosità senza perdere il suo carattere deciso. La struttura del Campari e del Tanqueray n°Ten incontra il profilo secco del Noilly Prat, ma è la nota inattesa del mascarpone a rendere questa versione unica: una morbidezza inattesa che avvolge il palato senza tradire l'amaro originale.
L'Espresso Martini, invece, si allontana dalla sua dolcezza convenzionale per esplorare territori più intensi e tostati. Il whisky torbato di Johnnie Walker Black Label e la sapidità secca dello Sherry Tio Pepe costruiscono una base complessa, esaltata dal caffè e dalla schiuma di caramello salato, che aggiunge una consistenza vellutata e un finale sorprendente.
Il Sex on the Beach perde i suoi eccessi zuccherini e ritrova nuova freschezza: vodka Ketel One aromatizzata ai frutti rossi, un accenno di vaniglia, lime e Fake peach soda accompagnata da orange jelly che aggiunge consistenza e gioco visivo. Un drink divertente ma raffinato, in cui la nostalgia si sposa con la ricerca.
Chiude la selezione un Americano dalle tinte erbacee: Campari e Cynar si fondono con un tè agli agrumi preparato in casa, che dona al sorso un profilo aromatico più profondo, un'alternanza armonica tra amaro, freschezza e leggeri sentori affumicati. Cocktail che rappresentano non semplici rivisitazioni, ma un dialogo rispettoso tra passato e presente.
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